Ricerca sul morbo di Parkinson: adottare una prospettiva incentrata sull’uomo per accelerare il progresso

Il morbo di Parkinson colpisce l’1% della popolazione di età superiore ai 60 anni e, con l’aumento globale dell’invecchiamento della popolazione, presenta enormi oneri economici e sociali. L’eziologia del Parkinson rimane sconosciuta; la maggior parte dei casi è idiopatica, presumibilmente dovuta a fattori di rischio genetici e ambientali. Nonostante 200 anni dalla prima descrizione del Parkinson, i meccanismi sottostanti l’inizio e la progressione dei caratteristici processi neurodegenerativi non sono noti. In questo articolo gli autori esaminano i progressi e i limiti dei molteplici modelli animali di Parkinson disponibili e identificano i progressi che potrebbero essere implementati per comprendere meglio i processi patologici, migliorare l’esito della malattia e ridurre la dipendenza dai modelli animali. Le lezioni apprese dalla riduzione dell’uso degli animali nella ricerca sulla malattia di Parkinson potrebbero servire da guida per una ricerca biomedica più efficace.

I modelli animali di Parkinson indotti chimicamente o attraverso modifiche genetiche riproducono la malattia solo in misura limitata e variabile. Ad esempio, i corpi di Lewy, una caratteristica patologica caratteristica del Parkinson, sono assenti in molti modelli animali. Inoltre, il 90% dei pazienti con Parkinson non ha associazioni note con mutazioni genetiche o polimorfismi. Sebbene le sequenze geniche legate al Parkinson condividano un’omologia significativa tra le specie, le differenze tra la regolazione trascrizionale animale e umana, l’elaborazione delle proteine, la struttura dei circuiti neurali, i pattern di distribuzione dei neurotrasmettitori e dei recettori, la regolazione del sistema immunitario, la distribuzione ed il metabolismo dei farmaci, ed il portamento bipede rispetto a quello quadrupede, le differenze nella locomozione, determinano un divario esponenzialmente ampio tra modelli animali e pazienti umani. Pertanto, nessun modello animale può ricapitolare fedelmente la complessa patologia multisistemica che è alla base dei segni e sintomi clinici del Parkinson umano.

Ad oggi, gli approcci alla scoperta di farmaci per il Parkinson hanno portato allo sviluppo di strumenti per i sintomi motori che accompagnano la neurodegenerazione, ma finora non sono riusciti ad identificare terapie preventive o cure efficaci.

Questo fallimento deriva dalla persistenza di grandi lacune nella nostra comprensione dei processi neurodegenerativi che portano all’inizio ed alla progressione del Parkinson. Uno dei fattori alla base del lento progresso contro le malattie neurodegenerative è il fatto che i modelli animali non replicheranno mai completamente il cervello umano sia in condizioni di salute che di malattia.

In considerazione dei limiti dei modelli animali di Parkinson, vi è una chiara necessità di nuovi approcci per migliorare la comprensione delle malattie e per testare potenziali terapie. Per comprendere e trattare definitivamente il morbo di Parkinson e altri disturbi neurodegenerativi unicamente umani, i nuovi approcci devono concentrarsi direttamente sui sistemi umani. Le caratteristiche umane specifiche del Parkinson possono essere esaminate utilizzando colture cellulari umane, tessuti derivati ​​​​da cellule staminali umane, modelli computerizzati, analisi su larga scala in silico e nuove tecniche di imaging, nonché sulla valutazione degli “Adverse Outcome Pathway” (AOP, traducibile come “via degli esiti avversi”). Le AOP vengono create per riassumere le informazioni relative agli effetti della malattia, descrivendo nei dettagli i meccanismi sia cellulari che molecolari (a livello di geni e proteine) alla base di questi effetti, prendendo in considerazione diversi livelli di complessità biologica (popolazione, individuo, organo, tessuto, cellula, e molecole). Questi approcci possono accelerare i nostri progressi senza dipendere così pesantemente da modelli di malattie animali imperfetti durante gli studi preclinici.

L’analisi dell’alto tasso di fallimento osservato durante gli studi clinici di fase 2 rivela che l’attuale paradigma per la sicurezza dei farmaci e i test di efficacia, con la sua dipendenza da modelli animali di malattia, sta fallendo. E’ necessaria una comprensione più approfondita della malattia umana e migliori test preclinici che siano più predittivi per la biologia umana.

Articolo originale

Marshall LJ, Willett C. Parkinson’s disease research: adopting a more human perspective to accelerate advances. Drug Discov Today. 2018 Dec;23(12):1950-1961. doi: 10.1016/j.drudis.2018.09.010. Epub 2018 Sep 18. PMID: 30240875.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30240875/