Perché i Farmaci Testati nei Topi Falliscono nei Trial Clinici Umani

Se fossimo tutti topi, la malattia di Alzheimer, il cancro, il diabete e la maggior parte dei disturbi ereditari sarebbero solo un ricordo del passato. Potremmo rosicchiare tutto il formaggio che vogliamo senza timore di malattie cardiache e correre sulla nostra ruota preferita per ore senza dolori alle ginocchia perché tutte queste affezioni sono state curate nei topi. Purtroppo, non siamo topi, e la maggior parte delle cure efficaci nei topi fallisce miseramente negli esseri umani. In particolare, la percentuale di farmaci che falliscono nei test clinici sull’uomo nonostante siano risultati sicuri ed efficaci nei test sugli animali si attesta intorno al 90%.

Tra centinaia di trattamenti per la malattia di Alzheimer che hanno aiutato i topi, nessuno di questi ha giovato in modo significativo ai malati. Ma perché i trattamenti per l’Alzheimer che sembrano così promettenti negli animali non funzionano poi quasi mai sugli sugli esseri umani? Anche se i topi e gli esseri umani appaiono diversi l’uno dall’altro, condividono circa il 90% dei geni. Si potrebbe pensare che un farmaco che attiva o spegne un gene nei topi agisca allo stesso modo negli esseri umani, ma questo non è sempre vero, anzi, spesso non è così.

Non tutti i farmaci che funzionano sugli animali avranno gli stessi effetti sugli esseri umani. Il tasso di fallimento è intorno al 90%.

Lo stesso gene nei topi e negli esseri umani viene utilizzato in modi diversi

Uno studio pubblicato su Nature da Hodge et al. nel 2019 ha mostrato che, anche se gli esseri umani e gli animali condividono una percentuale variabile di geni, questi funzionano in modo diverso nelle cellule di specie differenti. Affinché una cellula svolga correttamente il proprio lavoro, ha bisogno di produrre specifiche proteine uniche per quella cellula. Queste proteine sono le “operaie”, quelle che effettivamente svolgono il lavoro di una cellula, e le istruzioni utilizzate per produrre queste proteine sono codificate in sequenze di DNA chiamate geni. Un gene è come una frase molto importante di un libro che una cellula può leggere ogni volta che vuole produrre la proteina codificata dal gene. Più la cellula “legge” il gene, più il gene viene espresso, e più proteine vengono prodotte. Tutti i 20.000 geni nel genoma umano possono essere letti un numero infinito di volte, permettendo a una cellula di produrre molti diversi tipi di proteine particolari alle sue esigenze.

Per confrontare i geni negli esseri umani e nei topi, Hodge et al. hanno utilizzato una tecnica chiamata sequenziamento del DNA per identificare il DNA che costituisce tutti i geni nelle cellule del cervello umano e di topo. I ricercatori hanno scoperto che quasi ogni tipo di cellula nel cervello del topo, comprese quasi tutte le cellule neuronali, è presente anche nel cervello umano. Tuttavia, una volta confrontata l’espressione dei singoli geni nello stesso tipo di cellula, hanno riscontrato profonde differenze tra topi e esseri umani. Due terzi di tutti i geni condivisi tra topi e umani sono espressi in modo diverso nello stesso tipo di cellula. La differenza più evidente è stata riscontrata nei neuroni, dove diversi geni utilizzati per produrre recettori della serotonina sono attivati nei topi ma spenti negli esseri umani. La serotonina, una sostanza chimica che regola l’umore, invia messaggi tra i neuroni legandosi al suo recettore sulla superficie del neurone ricevente. Senza il recettore, la serotonina non può trasmettere segnali alle cellule vicine. Se i farmaci sono progettati per legarsi ai recettori che sono presenti solo nei topi, non funzioneranno negli esseri umani. Di conseguenza, i trattamenti per depressione, schizofrenia, ansia, Alzheimer e altre patologie potrebbero essere molto utili nei topi ma fallire nel trattare le malattie negli esseri umani. Persino un cambiamento a livello di un singolo gene può fare la differenza tra successo e fallimento di un farmaco.

Quando differenze apparentemente piccole tra esseri umani e topi possono avere conseguenze disastrose…

Proprio come un cane non può mangiare la cioccolata perché il suo fegato non può metabolizzare la teobromina (sostanza simile alla caffeina, naturalmente presente nel cacao), anche gli esseri umani possono morire perché i loro corpi non riescono ad assorbire o processare i farmaci originariamente testati con successo nei topi. Nel 1993 il farmaco fialuridina (FIAU) è stato sviluppato per trattare le persone affette da epatite B e ha funzionato incredibilmente bene nei topi, nei ratti, nei cani e nei primati, ma una volta avviati i trial clinici umani sette persone hanno sviluppato insufficienza epatica e cinque sono morte. La FIAU era tossica per gli esseri umani a causa di una specifica proteina presente nei nostri mitocondri, le strutture che generano energia nelle nostre cellule. Questa proteina trasporta il farmaco dallo spazio all’interno della cellula nel mitocondrio. Una volta che il farmaco entra, avvelena il mitocondrio. Ciò interrompe l’apporto energetico al nostro fegato, dove il farmaco viene assorbito. Anche se questa proteina è presente anche nei topi, non trasporta il farmaco nei mitocondri a causa di sole 3 diverse “lettere” nella sequenza del DNA dei topi. Queste 3 mutazioni nel DNA modificano leggermente il gene che codifica la proteina, sufficientemente da mantenerla lontana dai mitocondri della cellula, impedendole di trasferire il farmaco al suo interno.

Il TGN1412 è un farmaco sperimentale che ha causato gravi reazioni nei test sugli esseri umani nel marzo 2006. Il farmaco era risultato efficace e sicuro sugli animali, incluse le scimmie. Tuttavia, uno dei problemi principali era che il bersaglio del farmaco – una proteina su alcune cellule del sistema immunitario – è leggermente diverso tra le versioni delle scimmie e quelle umane. Di conseguenza, il farmaco si lega più fortemente alle cellule immunitarie umane, provocando un rapido rilascio di grandi quantità di sostanze chimiche che causano infiammazione. Questo ha portato a gravi reazioni avverse in sei volontari sani durante la prima fase della sperimentazione nell’uomo.

Il cioccolato è molto tossico per i cani poiché il loro fegato non riesce a scomporre alcuni dei suoi componenti.

I fallimenti nei trial clinici dei farmaci possono essere dovuti anche ad errori metodologici

È evidente che i topi non sono il modello perfetto per ogni malattia umana, ma gli scienziati continuano comunque a utilizzarli per studiare la maggior parte delle patologie per comodità e resistenza al cambiamento. Per cercare di replicare meglio le malattie umane nei topi, i ricercatori provano a replicare le mutazioni del genoma umano “malato” nel genoma di un topo. In realtà, questi topi raramente presentano tutti i sintomi di una malattia, come i tremori osservati nella corea di Huntington. Inoltre, malattie complesse come l’Alzheimer coinvolgono molti cambiamenti diversi nei geni umani, e sono in gran parte dipendenti da fattori ambientali quali lo stile di vita, ed è improbabile che i topi con solo alcuni geni mutati abbiano la stessa malattia di base degli esseri umani. Quindi anche se un topo viene curato per la sua malattia, ciò non garantisce che la terapia sarà efficace per la malattia umana. Questo concetto viene trattato in modo più approfondito in questo articolo.

I ricercatori si impegnano nel rendere ogni esperimento riproducibile in modo che altre persone possano verificare il loro lavoro. Normalmente ciò è positivo, ma per farlo negli esperimenti con i topi, i ricercatori utilizzano topi che, attraverso accoppiamenti ripetuti tra consanguinei, finiscono per avere un DNA molto simile tra loro. In questo modo, altri ricercatori possono utilizzare gli stessi topi e ottenere lo stesso risultato. Curare topi con DNA identico è come ideare una cura per un solo essere umano su 7,5 miliardi di umani presenti sulla Terra. Ogni persona reagisce in modo diverso ai farmaci e alle malattie; ciò che funziona in una persona potrebbe non funzionare in un’altra.

Ironicamente, anche quando i ricercatori utilizzano le stesse linee di topi, un cattivo disegno dello studio e metodologie diverse possono impedire la riproducibilità degli esperimenti. In una revisione sistematica del trattamento dell’ictus con nimodipina sui topi, i ricercatori hanno scoperto che la parte metodologica degli esperimenti era scadente e non c’erano dati concordanti sull’effetto della nimodipina sull’ictus. Il 50% degli studi ha riscontrato che la nimodipina aiutava ad alleviare i sintomi, mentre gli altri non hanno riscontrato alcun beneficio dal farmaco.

Alternative al topo

Per molti aspetti, i topi sono modelli comodi per i ricercatori. Sono geneticamente “simili” agli esseri umani, producono molti discendenti e crescono rapidamente, consentendo di condurre esperimenti in un breve periodo di tempo.

Tuttavia è improbabile che i topi siano in grado di modellare adeguatamente le malattie e le condizioni umane, data la complessità del sistema “Homo sapiens” e le sue uniche interazioni ambientali e sociali, rendendo meno probabile una cura per gli esseri umani. Alcuni ricercatori propongono altri modelli animali come le scimmie. Tuttavia, come visto nell’esempio della FIAU, o del TGN1412 i trattamenti che funzionano nei primati spesso non funzionano negli esseri umani, poiché sebbene l’uomo e lo scimpanzé condividano oltre il 98% dei geni, questi vengono utilizzati spesso in modo differente, come avviene nel caso dei topi.

Per approfondire: