Primo xenotrapianto al mondo di cuore, da un maiale ad un uomo, siamo sicuri sia corretto puntare tutto sul trapianto?

ll recente trapianto di cuore da un maiale ad un individuo umano, primo caso al mondo, non è motivo di celebrazioni e soprattutto non dovrebbe offuscare tutto quanto esiste già da tempo con finalità preventiva e curativa nei confronti delle patologie cardiache. Lo xenotrapianto presenta serie problematiche sia da un punto di vista etico, sia medico-scientifico. Cominciamo con il dire che i trapianti anche quando hanno luogo tra individui, dunque tra appartenenti alla stessa specie, espongono sempre il paziente a gravi rischi di immunosoppressione indotta dalle terapie anti-rigetto, che a sua volta può esitare in infezioni molto difficili da debellare.

Sicuramente avremo presto la possibilità di avere maggiori dettagli circa tutto quanto si è reso necessario per rendere possibile il trapianto, e per mantenere il paziente nelle fasi ad esso successive, ma ciò che intanto già oggi sappiamo è che esistono concrete possibilità di azione su vari fronti, che necessiterebbe solo di un adeguato sostentamento, per essere ulteriormente potenziate e sviluppate.

Molto pragmaticamente si sottolinea come gli Stati Uniti, paese in cui ha avuto luogo lo xenotrapianto, dovrebbero in primo luogo investire su una transizione alimentare da una dieta eccessivamente ricca e squilibrata, a una dieta prevalentemente vegetale senza dimenticare l’importanza di associare l’esercizio fisico. Questi due elementi oltre ad essere considerati fondamentali per la prevenzione delle patologie cardiache, sono risultati migliorativi in primi studi di carattere pionieristico in chi è affetto da patologia cardiaca moderata o grave.

Vi sono poi tutta una serie di attività cosiddette “rigenerative”, che hanno lo scopo di migliorare lo stato morboso, senza arrivare al trapianto. E’ questo il caso del restauro ventricolare, che consente di ripristinare la forma e il volume del ventricolo normale; un altro caso di medicina rigenerativa è quella che prevede l’uso di cardiomiociti prodotti a partire da cellule staminali embrionali umane e pluripotenti indotte o quello di dispositivi di assistenza meccanica alla circolazione, resi ormai sempre meno invasivi. Ovviamente ciascuna di queste tecniche ha un target di azione, che le rende o meno fruibili nei diversi pazienti in base alle loro caratteristiche di malattia.

Sarebbe auspicabile che gli investimenti fossero diretti al miglioramento della sicurezza e dell’efficacia dei farmaci attualmente in uso, determinando così anche una significativa diminuzione nella necessità di trapianto d’organo. A questo riguardo, l’esistenza odierna di organi-on chip di cuore in grado di mimare efficacemente il tessuto cardiaco, offre una possibilità concreta di sperimentare nuovi farmaci in modo efficace.

Poiché il trapianto rimane in molti casi un’opzione obbligata, si ricorda che per incrementare il numero di organi umani disponibili, in primo luogo si potrebbe procedere con il sistema di donazione opt-out (ovvero tutti coloro che muoiono sono considerati automaticamente donatori, salvo aver manifestato dissenso). Si sottolinea poi che si potrebbe incrementare il numero di organi fruibili allargando i criteri per i donatori, e soprattutto migliorando le tecniche di mantenimento di temperatura e battito post rimozione; ma ancora migliorando i processi per l’abbinamento donatore-ricevente e quelli per la diagnosi e la gestione delle forme di rigetto.

Animal Organs in Human Bodies a Disservice to Patients. Physicians Committee for Responsible Medicine. GOOD SCIENCE DIGEST Feb 3, 2022. https://www.pcrm.org/news/ good-science-digest/animalorgans-human-bodiesdisservice-patients