Il cane, tra i modelli animali, continua ad essere molto utilizzato soprattutto negli USA

Questo studio si è posto l’ambizioso obiettivo di vagliare l’utilizzo del cane quale modello animale fruito nella ricerca scientifica statunitense, cercando di quantificare il numero di soggetti complessivamente coinvolti e le diverse tipologie di esperimenti che ne hanno richiesto l’utilizzo. Gli autori sono concordi nel ritenere in generale i report sperimentali con le relative motivazioni e procedure, spesso deficitari di informazioni. Pertanto si assiste a una parziale omissione di dati, maggiormente frequente negli USA, piuttosto che in Europa che complica notevolmente la ricostruzione della reale utilizzazione del cane quale specie animale. Da sottolineare che in Europa si è assistito ad una forte inversione di tendenza infatti, mentre negli ultimi dieci anni negli USA sono stati impiegati circa 60.000 cani all’anno, in Europa siamo passati dai 27.000 del 1991 ai 15.000 del triennio 2015-2018. Le fonti utilizzate sono state tre:

-database di Pubmed;

-National Institutes of Health (NIH);

-database USDA.

Dal materiale presente in pubmed sono stati selezionati 453 articoli utili alla ricerca e da questi ne è stato ricavato il 21% che sono 97 articoli che si contraddistinguono per un utilizzo invasivo. Il numero di cani utilizzato per le sole 97 ricerche selezionate erano pari a 2000 esemplari. Sono stati altresì selezionati 118 progetti borse di studio per i quali abbiamo dati meno certi ma quello che si ricava dalle proposte è l’utilizzo di complessivi 5.500 cani. Nel 2018 le 328 istituzioni americane hanno utilizzato più di 59,000 cani.

La specie più rappresentata è il Beagle, seguito da cani meticci. Per quanto concerne l’ambito di impiego a predominare in assoluto è la ricerca traslazionale (compresa la tossicologia non regolatoria), a seguire ben distanziata troviamo la ricerca a fine regolatorio e quella di base. Si è poi provveduto ad una sottocategorizzazione in ulteriori 12 tipologie di applicazione. Il primo ambito, ovvero quello più stesso ricorrente, è quello cardiologico, seguito dal settore oncologico e a seguire da molti altri. Da rilevare che nella sottocategoria “altro”, piuttosto rilevante, sono ricomprese ricerche ematologiche, sulle corde vocali e di ortodonzia. 

I ricercatori si sono poi occupati di verificare le ragioni addotte per l’impiego del cane. Queste le più frequenti dichiarate:

  • necessario negli studi preclinici;
  • malattia o condizione che si verifica naturalmente anche nel cane;
  • malattia con caratteristiche fenotipiche simili nel cane e nell’uomo;
  • necessità di un modello animale con taglia considerevole;
  • similitudini anatomiche e fisiologiche tra uomo e cane.

Per quanto concerne la reportistica sul dolore, nelle pubblicazioni si riscontra una percentuale elevatissima di report scarsamente compilati o addirittura totalmente assenti.

In questo modo non solo non si conosce il grado di dolore a cui è stato esposto il soggetto, ma non si conosce neppure quanto questo abbia influito sull’esito finale della ricerca. Sulla provenienza dei cani, per la maggior parte sono stati forniti da allevatori commerciali, a seguire da colonie riproduttive interne alle università o già presenti in aziende che fanno ricerca e al terzo posto da esemplari con proprietario. Veniamo dunque al destino finale dei cani impiegati, che per il 52% sono sottoposti ad eutanasia, in parte a riutilizzo se illesi dalla precedente sperimentazione, raramente si parla di affido e in moti casi non si menziona informazioni in proposito. In alcuni casi poi si prevedono differenti endpoints, tali da consentire il ritorno a casa per i soggetti con proprietario e l’eutanasia per quelli che sono stati allevati per lo scopo. Oh and Ishikawa (2018) sostengono che i cani NON sono modelli adeguati per gli studi sull’obesità, sulle patologie metaboliche, sul ruolo dell’invecchiamento e per diversi tipi di patologia cardiovascolare in cui le risposte uomo-cane non sono analoghe. I modelli di aritmia nel cane si sono rivelati inefficaci, in quanto più spesso l’eziologia è multifattoriale e dunque si riscontra una componente genetica associata ad altre concause. Il NASEM nel 2020 nel suo rapporto sull’uso del cane tra i modelli di animale vertebrato, ha evidenziato come non si possa giustificarne l’uso asserendo che esistevano già dati di utilizzo precedente, in quanto rappresenta un circolo vizioso che non legittima realmente l’uso. Si afferma anche che alcuni esperimenti non sono necessari e che certe tipologie di ricerca non dovrebbero prevedere l’impiego del cane, pertanto si continuerà a vigilare sulle giustificazioni addotte per l’impiego del cane nella sperimentazione. 

Ward, S. L. and Osenkowski, P. (2022) “Dog as the experimental model: Laboratory uses of dogs in the United States”, ALTEX – Alternatives to animal experimentation, 39(4), pp. 605–620. doi: 10.14573/altex.2109101.